LE MUSE RITROVATE. SUI DIPINTI DI LUCA PIGNATELLI ALLA GLYPTOTHEK DI MONACO
Corinna Thierolf

Ricordate cosa succede in "Sei personaggi in cerca di autore" di Luigi Pirandello?
Sei personaggi appaiono inaspettatamente su un palcoscenico durante le prove di una commedia e affermano di essere stati creati ma poi dimenticati dal loro autore. Le loro vite non sono ancora state scritte fino in fondo, ma qualcosa sta per cambiare. I sei personaggi riescono a stravolgere il copione, i piani del regista e degli attori e le aspettative del pubblico.
I nuovi coprotagonisti impongono una riflessione disincantata su ciò che è la realtà da un lato e l'arte e il teatro dall'altro. Soffrono profondamente per l'impossibilità di capirsi. Nonostante tutti i loro sforzi, non possono essere uccisi e da oltre cento anni trovano nuovi teatri in tutto il mondo per il "loro" spettacolo, anzi sono chiamati a rompere l'apparenza della scena appena allestita con cura, mentre loro stessi rimarranno probabilmente incompiuti e senza casa per sempre.
È nella natura di molte persone raccogliere questi naufraghi, che forse sono stati anche le prime Muse dell'autore, e rivolgersi a loro. L'artista italiano Luca Pignatelli è uno di questi naufraghi. Fin da bambino era attratto dalle sculture e dai manufatti, soprattutto quelli dell'antichità, che sono onnipresenti in Italia, anche a Milano, dove è cresciuto e vive tuttora. Si può immaginare che sia diventato un artista perché questo gli permetteva di seguire un impulso immediato in modo molto soggettivo: in maniera non sistematica, come fanno gli archeologi, bensì istintiva, ha voluto esplorare le origini indefinite di quei frammenti che nella maggior parte dei casi non hanno un nome, e qualche volta sono etichettati con nomi di divinità e regnanti.
Da allora, non è interessato solo a capire l'origine e il significato di queste sculture, ma cerca piuttosto di scoprire qualcosa della misteriosità di queste opere, che sono state ripetutamente ricontestualizzate, dal lontano passato
fino ad oggi. Ciò che lo ispira è proprio collegare questo mistero, quasi impossibile da svelare nelle sue molteplici sfaccettature, con il mistero della sua stessa esistenza. In questo modo, egli si collega direttamente alla Storia, crea consapevolezza della transitorietà del presente e, allo stesso tempo, crea qualcosa di nuovo, ossia opere che costituiscono un ponte tra passato e presente, a beneficio di un pubblico più ampio. I musei hanno il compito di estendere questo ponte, che Pignatelli costruisce individualmente, alla sfera istituzionale. Essi conservano per il pubblico opere, frammenti e memorie del passato (fig. p. 20), ma l'organizzazione della collezione è generalmente basata non tanto su criteri soggettivi quanto su criteri più o meno neutrali, come la nozione scientifica della progressione cronologica degli stili. Eppure, per quanto completo possa apparire un tour attraverso una collezione con oggetti della più diversa provenienza, tutti i direttori di musei, proprio come gli artisti, possono intonare con Pirandello un canto sull’incerta origine delle fragili impressioni. Si tratta di venire a patti, in modo più o meno riuscito, con l’incompleto. Con ogni nuova opera che un artista crea integrando elementi del passato, con ogni nuova mostra che getti nuova luce sui frammenti del passato, gli artisti o i curatori museali diventano autori di nuove narrazioni. Secondo il senso comune odierno, gli autori non dovrebbero avere un potere superiore e sovrano, ma dovrebbero essere in grado di esaminare criticamente la propria posizione per rendere le parti (dell'opera d'arte, della collezione) "autentiche", ovvero comprensibili nel loro contesto originale e mutevole. Tutte le voci devono essere ascoltate e costantemente riesaminate, incluse quelle che in precedenza siano state scartate e dimenticate. Perché il mondo è grande, la Storia è ricca e la forza dell'inventiva non smette mai di sorprendere, e non solo c'è una quantità sterminata di nuove invenzioni, ma c’è sempre qualcosa che "cade dal tavolo".

Per la prima volta viene esposto nella Glyptothek un tavolo di grandi dimensioni (fig. p. 24/25) che finora è rimasto per anni nel seminterrato dello studio milanese di Pignatelli. È un'opera d'arte? L'artista stesso non lo sa con certezza. Senza dubbio è una fonte di ispirazione per il suo lavoro, visto che Pignatelli vi ha raccolto innumerevoli foto e ritagli di giornale di opere della storia dell'arte mondiale. Il conglomerato è cresciuto nel corso degli anni e Pignatelli lo modifica continuamente, poiché il suo archivio è di gran lunga più grande della superficie del tavolo e ha sempre qualcosa di nuovo da offrire. Di tanto in tanto, rimuove alcune immagini per riversare nuovi documenti sul tavolo e – en passant – tira fuori una foto o ne cambia la posizione. Ed ecco che, come per magia, emergono sorprendenti accostamenti, come ad esempio la vicinanza tra i motivi bellici sui vasi a fondo nero dell’antica Grecia e le sagome isolate di persone e animali morenti in "Guernica" di Picasso (fig. p. 27). Questo accostamento non pianificato e tuttavia convincente sarà visibile anche per il visitatore della mostra di Monaco? Potrebbe forse rivelarsi quando il tavolo, custode di profonde memorie visive e testimonianza di una riflessione filosofica, sarà esposto nella sala con i guerrieri morenti del famoso frontone orientale del tempio di Aphaia a Egina (fig. p. 27). Sul tavolo c'è un'infinità di cose da scoprire. Le sue dimensioni mi sembrano oceaniche, la varietà di motivi e oggetti di epoche diverse ma ugualmente accessibili è tanto vertiginosa quanto vertiginosa è la monotonia del grigio su grigio delle foto, che sfuma il contrasto dei soggetti. Di fronte a questa marea di documenti, si rischia forse di annegare come i "personaggi" di Pirandello, naufraghi nell'inesauribile oceano delle possibilità? O questi documenti sono, al contrario, i fari con cui Pignatelli e ogni spettatore possono orientarsi nel ben più ampio spazio intellettuale della loro vita, presumibilmente senza arrivare a conclusioni definitive? Durante la mia visita allo studio di Milano, ho deciso di lasciare che il caso facesse il proprio corso e di scattare alla cieca due foto, in modo che i motivi catturati potessero servire da ispirazione per questo testo. Nella prima foto (fig. p. 28), scopro per prima cosa la veduta piuttosto ravvicinata di un antico paesaggio di rovine. Nella seconda (fig. p. 31), la mia attenzione è involontaria- mente attratta dall’immagine di Papa Innocenzo III sognante, che Giotto dipinse tra il 1295 e il 1300 come parte del ciclo di affreschi con le 28 scene della vita di San Francesco per la Basilica di San Francesco ad Assisi. Il sogno del papa che riposa sotto un baldacchino è raffigurato alla sua sinistra: si vede San Francesco che riesce a fermare il crollo di una chiesa (sotto forma della Basilica Lateranense) con la forza della sua spalla nuda. Ciò viene interpretato dal capo della Chiesa cattolica come un segno che gli insegnamenti controversi di Francesco debbano essere ufficialmente integrati nella Chiesa. Le due immagini mi sembrano esemplari per sottolineare due aspetti fondamentali del lavoro di Pignatelli: da un lato, l'osservazione ravvicinata del disfacimento delle testimonianze del passato e, dall'altro, il contro-movimento, cioè l'instancabile costruzione su ciò che è stato tramandato, l'espansione, il rafforzamento, la trasformazione e perfino il collage di ciò che in un primo momento appariva eterogeneo. All'inizio del XX secolo, Georges Braque e Pablo Picasso, in particolare, hanno fatto del collage un simbolo della modernità. Specialmente dopo i potenti sviluppi degli anni Cinquanta – da Robert Rauschenberg fino ad oggi – questa tecnica non ha perso nulla della sua attualità. I frammenti, come oggetti concreti strappati dal loro contesto funzionale originario, vengono ricomposti e integrati sul supporto del quadro attraverso la pittura e le tecniche di trasferimento fotografico. Questo processo di addizione si contrappone all'illusione del contenuto pittorico come unità indissolubile. Gli accostamenti inaspettati risvegliano nuove associazioni e aprono finestre su una realtà ancora inesplorata. Nella storia dell'arte, il collage è largamente inteso come un modo adeguato di pensare e operare e come un vessillo della modernità, dopo che l’Illuminismo e il Romanticismo avevano respinto il principio di unità invocato dalle religioni. Il collage esemplifica quindi una rottura epocale che definisce un prima e un dopo nell’arte. Al contrario, i quadri di Pignatelli tendono a enfatizzare la continuità della tecnica del collage, cioè il metodo, utilizzato per migliaia d’anni, che consiste nel combinare criticamente e creativamente il vecchio e il nuovo e che è stato in qualche modo perso di vista nel campo dell'arte contemporanea. Gli "Astratti" di Pignatelli, così come i suoi quadri con motivi figurativi, dimostrano che l'artista, pur avendo familiarità con l'approccio dell’arte moderna, è interessato principalmente all'aspetto della continuità. I suoi supporti pittorici sono fatti di teloni, come quelli usati per proteggere le merci su camion, vagoni ferroviari o navi. Questo semplice materiale evoca, nel contesto artistico, un'infinità di associazioni, poiché è entrato in contatto con una grande varietà di materiali, con il vento e le intemperie, che hanno lasciato ciascuno il proprio segno. In alcuni Paesi, il materiale da imballaggio viene reimpiegato ancora oggi e non viene buttato via dopo l'utilizzo, ma riparato. Nel corso del tempo, le ripara- zioni mirate creano un patchwork e il materiale, in questa ottica, sviluppa una propria bellezza espressiva. Il rafforzamento e la rivalutazione del tessuto che ne derivano ricordano anche la tecnica giapponese del boro, un processo di riparazione di indumenti rovinati mediante l'applicazione di singoli pezzi di tessuto. Se inizialmente il tessuto strappato non aveva valore, diventa più robusto e durevole con ogni nuova riparazione. Gli indumenti non solo offrono maggiore protezione e sono attraenti, ma mostrano anche apertamente di essere una testimonianza di storia vissuta e legata a chi li indossa. Il capo viene tramandato di generazione in generazione e in questo senso acquista valore. Nei suoi dipinti, Pignatelli integra motivi già esistenti con applicazioni proprie di ulteriori elementi geometrici e campi di colore, in un processo meditativo e giocoso. In questo modo intreccia le forme funzionali alle riparazioni con le proprie espressioni dell'arte astratta e con allusioni alla sua storia personale. In questo modo, il dipinto si fa testimone di un dialogo stimolante tra i motivi creati nel telone con intenti pratici, le integrazioni di Pignatelli e i riferimenti alla pittura di Piet Mondrian, per esempio, che nei suoi dipinti bilanciava le forze del peso e del contrappeso con magistrale sottigliezza.

Con un ulteriore confronto, vorrei ricondurre l'estetica dei dipinti di Pignatelli non solo all'Arte Povera , come è consuetudine nel contesto dell'arte contemporanea, ma anche alla veste di San Francesco (fig. p. 34), con cui il fondatore italiano dell'ordine esprimeva il valore della povertà nell'ambito della sua Imitatio Christi, che a sua volta faceva riferimento a fonti più antiche. Questo ragionamento si completa se si estende il confronto a un "Sacco" di Alberto Burri (fig. p. 35). Burri, che ha avuto una grande influenza nello sviluppo dell'Arte Povera, è cresciuto e ha studiato in Umbria, non lontano da Assisi, il principale centro di azione di San Francesco. In un confronto visivo, la differenza contenutistica e temporale, che a prima vista sembra notevole, appare come un vero e proprio salto spaziale. In questo contesto, vale la pena ricordare quanto in Italia sia naturale incontrare nella vita quotidiana la storia di San Francesco, che si estende ben oltre il Medioevo. In definitiva, anche qui Pignatelli prosegue consapevolmente una vecchia tradizione. Il suo intento primario non è enfatizzare la rottura con l'arte più antica, come suggerisce invece il termine "Arte Povera". Questo appartiene a una serie di termini caratterizzati dalla fiducia nel progresso e basati su una concezione avanguardistica dello sviluppo dell'arte. Di conseguenza, i principali artisti contemporanei si distinguono dalle generazioni precedenti in modo provocatorio e innovativo, così come i "rappresentanti" dell'Arte Povera lavorano con i loro materiali poveri in processi produttivi spesso rozzi, mentre l'arte antica è ricca di maestria artigianale e/o di materiali pregiati.

In alcune opere, Pignatelli ha impresso sulle tele astratte i ritratti di muse antiche, i cui bei volti formano un'unione polifonica con il patchwork del tessuto e le cicatrici della scultura. L'accostamento con "Le Muse inquietanti" di Giorgio de Chirico (fig. p. 36), con le quali il pittore fa a sua volta riferimento all'antichità, è illuminante. Esso avviene attraverso la figura di Apollo, dio della luce e protettore delle arti, che si perde nell'ombra sulla destra, e delle Muse in primo piano. Ridotte in numero da nove a due, vengono anche private della loro bellezza, sono pietrificate, lasciate senza volto, una delle due ha un buco al posto del cuore. Rispetto a Pignatelli, la superficie del dipinto di De Chirico è liscia e priva di imperfezioni, e questo fa proprio parte della sua denuncia di un mondo tutto orientato alla funzionalità. In fondo a sinistra si ergono alte nel cielo le ciminiere da cui sono stati espulsi dei e Muse, per poi atterrare sulla terra come resti dimenticati di un mondo scomparso. C'è qualche speranza di recupero? Nel quadro, tutti gli esseri viventi sembrano essere stati cacciati via. Quello che vediamo è un’immagine apocalittica, di cui il pittore si fa testimone.

In diverse altre opere, Pignatelli ha riprodotto i ritratti delle muse su un tappeto orientale (fig. p. 44). Come in una visione, due mondi in realtà separati si uniscono quando il motivo geometrico del tappeto si riflette sulle figure di pietra. Se ogni singolo tappeto è già espressione di una complessa combinazione di intenti pratici e simbolici, profani e religiosi, Pignatelli dà vita a un'ulteriore dimensione culturale attraverso la fusione dell'oggetto tessile, proveniente dall'Oriente, con un'immagine antica. Egli mette insieme due concezioni del- l'arte tra loro concorrenti: da un lato, mostra la ricchezza di motivi geometrici che domina in Oriente e che nasce da un profondo scetticismo nei confronti dell'immagine figurativa e della rappresentabilità di grandi contenuti sovraumani. Dall'altro lato, la grande linea di sviluppo dell'Occidente, che si concentra proprio sulla rappresentabilità del mondo e trova il suo culmine nella prospettiva centrale e nel punto di vista umano, valide ancora oggi.

Nonostante i millenni di scambi tra le due culture, nella vita di tutti i giorni e sotto l'influenza degli eventi politici attuali, spesso dimentichiamo quanto il nostro "proprio" sia già intensamente permeato da ciò che è "altro". Ne sono un esempio i famosi rosoni delle cattedrali gotiche francesi, la cui geometria deve molto al dialogo interculturale. Se nel dipinto di Pignatelli il motivo astratto del tappeto sul volto di una donna dell'antichità si riflette come un rosone, tanto che questo volto appare come il precursore di una Mater Ecclesia, diventa chiaro che in ogni cultura sono impressi i motivi indistruttibili di altre culture. Le opere di Pignatelli risvegliano la consapevolezza di questa compenetrazione. Sono icone per la contemplazione di uno scambio costruttivo e in continuo sviluppo.

I frammenti del passato culturale sono sempre documenti di sofferenza, sopruso e crudeltà, e allo stesso tempo testimonianze di perdita, superamento, inventiva, sviluppo e speranza. Pignatelli li usa per creare dei luoghi di filosofia. Il passato attende il futuro. Attende la bellezza che Pignatelli ha riscoperto nelle sue Muse.

Knauß F. (a cura di), Muse. Luca Pignatelli in der Glyptothek (saggio di Thierolf C.), Glyptothek München
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